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Quando si parla di spose bambine si riscontra spesso una certa riluttanza nell’indicare la religione come una delle matrici principali di questo malcostume.

Nella maggioranza dei casi chi affronta il problema è più propenso a classificare il fenomeno delle spose bambine come risultato di una complessa interazione tra fattori culturali, sociali ed economici, cosa che in effetti fa Catherine Russel, direttrice generale Unicef nel suo nuovo rapporto sulle spose bambine, nel quale si apprende che ad oggi siano in vita ben 640 milioni di donne che  hanno contratto matrimonio durante l’infanzia. Naturalmente le opinioni possono anche differire, tuttavia ci sono alcune idee generali che sono comunemente accettate.

Di fatto le pratiche matrimoniali precoci sono radicate in norme religiose e culturali (e di certo non solo in seno all’Islam) che attribuiscono un alto valore alla fertilità, alla purezza e al controllo delle donne. Queste norme possono essere perpetuate di generazione in generazione attraverso le tradizioni culturali e le aspettative sociali. Altro fattore determinante sono le condizioni socio economiche, come la povertà e l’accesso limitato all’istruzione: in sostanza, il matrimonio di ragazze anche molto giovani (leggi: bambine) può essere visto come una strategia per migliorare il benessere economico delle famiglie o per proteggere le ragazze dalla povertà o dalla violenza.

Insomma: “Non è religione, è cultura!”, si dice spesso.

Lungi da me dal voler semplificare un fenomeno che presenta una serie di complessità troppo vaste per essere esaurite in un articolo, ma è proprio in virtù della reciproca contaminazione di diversi fattori che non possiamo fare finta che la religione non eserciti un contributo più che massiccio nel modellare il pensiero e la morale di una comunità.

Le credenze e le pratiche religiose di fatto influenzano eccome la cultura e la morale e, a maggior ragione, se osserviamo i costumi e le usanze di paesi non secolarizzati non possiamo liquidare la religione come un elemento di poco conto.

Occupandomi nello specifico di Islam non ho potuto fare a meno di interrogarmi su quanto la religione abbia ispirato, avallato o reso halal (ossia legittima)  la pratica delle spose bambine nei paesi dove vige la sharia.

La Sharia, che letteralmente significa “strada” o “via”, è il diritto islamico.

È un sistema di norme e principi derivati dalla religione islamica, in particolare dal Corano e dalla Sunna (le pratiche e gli insegnamenti del Profeta Maometto tramandati dagli hadith), oltre che da altri testi giuridici e dalle opinioni dei dotti religiosi.

Ci sono inoltre diverse scuole di giurisprudenza all’interno dell’Islam, ognuna con le proprie interpretazioni e metodi di applicazione della Sharia. Le quattro principali scuole (madhabs) di giurisprudenza sunnita sono la Hanafi, la Maliki, la Shafi’i e la Hanbali, ciascuna delle quali ha le proprie opinioni e dottrine legali.

Nonostante le differenze, tuttavia, tutte e quattro le scuole sono concordi nell’identificare l’età per contrarre matrimonio nella pubertà, e sempre secondo le quattro madhabs la pubertà viene raggiunta nel momento in cui compare il menarca o, addirittura, quando la ragazza rimane incinta (sic!). In alcuni casi, come si legge ad esempio nell’ Hedaya, una guida esaustiva alla giurisprudenza islamica (fiqh) secondo la scuola di pensiero Hanafi, l’età per il matrimonio è fissata a nove anni, soglia al di sotto della quale il rapporto sessuale è proibito. 

Tuttavia, pare che come al solito quando si tratta di femmine, la moralità sia piuttosto elastica e di conseguenza anche la punizione non sia poi così tremenda.

Nel Tahrir al-Wasilah scritto dall’ Ayatollah Khomeini, che è diventato il fondamento del sistema politico iraniano post-rivoluzionario, si legge:

L’atto sessuale con una donna non è consentito fino a quando non raggiunge l’età di nove anni […] Se una persona ha avuto rapporti sessuali con una ragazza prima che raggiunga l’età di nove anni, ma non ha portato a un danno fisico, non sarà soggetto a nessuna punizione, eccetto che verrà considerato come se avesse commesso un peccato. Se questo atto sessuale ha portato a un danno fisico, in modo che l’uretra e i passaggi mestruali o i passaggi mestruali e fecali si siano uniti […]Se il marito ha rapporti sessuali con sua moglie dopo che ha compiuto nove anni, e ciò ha causato un danno fisico, lei non sarà resa illecita per lui, né sarà tenuto a pagare la Diyat (compensazione legale) […]

In sostanza: avere rapporti con una bambina sotto i nove anni non comporterebbe per la giurisprudenza islamica gravi conseguenze, se non si verifica la fistula, ossia una lacerazione del tessuto tra retto e vagina. Nel caso in cui la cosa si verifichi la pena è…una compensazione monetaria!

In pratica, danneggiare il corpo di un essere umano (un essere umano che, vista la tenera età, non può avere certo la maturità e la forza mentale per opporsi ad un adulto) equivale a danneggiare una staccionata.

E no, non è humor nero: se penso che fino al 1996, in Italia, lo stupro era considerato reato contro la morale (alla stregua di una pisciata contro un muretto) e che la cosa ancora mi indigna, lo stesso mi accade quando penso che dei danni fisici permanenti subiti da una bambina possano essere compensati da una multa.

Nei testi di questi studiosi non mancano suggerimenti da parte dei riformatori su come avere rapporti sessuali con ragazze così giovani. 

Nello  “Heavenly Ornaments aka Jewels of Paradise”  di  Maulana Ashraf Ali Thanawi , un prominente studioso e riformatore islamico del subcontinente indiano (tanto popolare che questo testo viene regalato ancora oggi nella regione come dono nuziale)  si legge:

“Se una donna è minorenne ma non così piccola tale che se si ha un rapporto sessuale con lei, c’è il timore che i tessuti vaginali si strappino a tal punto che la vagina e l’ano si uniranno virtualmente; Poi, con l’inserimento del glande del pene nella vagina, il ghusl (una abluzione obbligatoria dopo un rapporto sessuale, nda) diventerà obbligatorio per l’uomo se ha raggiunto l’età della pubertà. Tuttavia, se c’è la paura di cui sopra in una ragazza molto minorenne, allora il semplice inserimento del pene non rende obbligatorio il ghusl.”

Anche volendo fare i relativisti assoluti e tralasciando l’aspetto morale, su cui forse mi sono dilungata fin troppo, la legalizzazione della sessualità precoce nelle giovani ragazze è un argomento dibattuto che solleva serie preoccupazioni per la salute e il benessere delle giovani donne. La pratica della sessualità molto precoce nelle giovani ragazze può comportare gravi rischi per la salute fisica e mentale e il fatto che i danni vengano identificati anche nelle norme religiose è la dimostrazione che tali pratiche non sono frutto dell’ignoranza o della subcultura, perchè non viene spesa una sola parola di condanna ai danni di tali pratiche, semmai in taluni casi sono previste regole per i pagamenti di compensazione e per l’annullamento del matrimonio.

La legalizzazione della sessualità molto precoce può anche avere conseguenze sociali e legali significative. Ad esempio, le ragazze possono essere costrette a sposarsi e divorziare in giovane età, senza avere la possibilità di fare scelte informate riguardo alla propria sessualità e al proprio futuro. Inoltre, le norme religiose che fissano l’età del consenso per il matrimonio e per l’attività sessuale a soli 9 anni possono mettere le giovani ragazze a rischio di sfruttamento e abusi.

Leggiamo per esempio in un Q&A rintracciabile sul sito darulifta-deoband.com, dedicato al lavoro di Thanawi sulla questione del sesso con minori: 

“Per quanto riguarda la questione giuridica, c’è una distinzione tra ciò che è dannoso dal punto di vista medico e ciò che è lecito di per sé. Il matrimonio dopo aver avuto rapporti sessuali con una ragazza minorenne è lecito di per sé, ma i tutori della ragazza dovrebbero riflettere su questa questione prima del matrimonio e procedere dopo aver ben compreso, anche riguardo gli aspetti nocivi [della pratica]. E Allah sa cosa è meglio.”

Non è poi così assurdo ipotizzare che se sono i tutori ad avere l’ultima parola sul corpo di una ragazzina questi possano non avere a cuore la sua salute psicofisica e che anzi, il fatto che sia lecita agli occhi di Dio, la cosa non instilli nemmeno rimorsi di coscienza. 

Come ciò possa essere tollerato in nome della libertà religiosa, per me è un mistero. Il Corano ci viene spesso presentato come un libro in cui sono racchiusi veri e propri miracoli scientifici, come il sole che tramonta in uno stagno ribollente, o il liquido seminale che proverrebbe da un “locus anatomico”  posto fra la colonna vertebrale e le costole, ma Dio, nell’elencare pratiche nocive per la salute, tipo il mangiare carne di maiale, s’è scordato di ricordare agli uomini che avere rapporti con delle ragazzine molto giovani può danneggiare i loro corpi. Anzi fa di più, nel versetto 4 della sura 65, ci spiega come divorziare dalle spose che non hanno ancora avuto il menarca. 

Nella sua infinita saggezza, però, ci ha fatto dono di illustri sapienti che, anzichè condannare la pratica, danno istruzioni su come fare sesso con bambine per evitare di infliggere loro ferite.

Tornando all’annosa questione “è cultura, non è religione”, l’esempio dell’Iran è emblematico per comprendere che spesso le due sono intrecciate in un legame difficile da districare. Il Tahrir al-Wasilah di cui ho citato un estratto è stato scritto dall’ ayatollah Khomeini, che dopo la rivoluzione del 1979 è diventato il leader supremo della Repubblica Islamica dell’Iran, una posizione che ha mantenuto fino alla sua morte nel 1989. Durante il suo regno, ha implementato politiche basate sui principi islamici, ridefinendo il sistema politico, giuridico e sociale del paese in base alle sue interpretazioni della Sharia e dei valori islamici. La sua leadership ha avuto un impatto duraturo sulla politica e sulla società iraniana e sulle relazioni internazionali dell’Iran. Da quel momento infatti, l’età minima per contrarre matrimonio per le “donne” fu abbassata a nove anni, e se conoscete la storia del Profeta non tarderete a capire il perchè.

Come si può negare che la religione non abbia contribuito all’instaurazione di un codice di norme che consideriamo aberranti? Anche volendo dire che Khomeini ha strumentalizzato ciò che ha appreso nelle scuole tradizionali islamiche, di fatto ciò che ha appreso, evidentemente, si prestava molto bene a questo tipo di utilizzo.

Se pensiamo che secondo i musulmani la vita del profeta Maometto è l’esempio di rettitudine più alto che sia mai esistito, e che questi abbia consumato il matrimonio con la giovane sposa Aisha quando questa aveva nove anni, non stupisce affatto che alcune scuole di pensiero fissino l’età della pubertà proprio a nove anni.

E a dispetto dei miracoli scientifici tanto decantati da taluni, mi chiedo com’è che Dio non si sia scomodato a specificare che il raggiungimento della pubertà non coincide con la capacità mentale o fisica di una persona di reggere un rapporto sessuale (o una gravidanza) senza rischiare nel migliore dei casi danni al perineo o nel peggiore la morte per dissanguamento dopo il rapporto sessuale o durante il parto.

In quest’ultimo scenario, sempre il Tahrir al-Wasilah ci informa che:

“se un marito compie forzatamente un rapporto sessuale con sua moglie, causandone la morte, sarà ritenuto responsabile per il diyat…”

Il termine “diyat” si riferisce a una forma di compensazione legale o “prezzo del sangue” previsto dalla legge islamica per gravi lesioni personali o morte causate da un individuo.

Anche in questo caso, quindi, la pena prevista per la morte accidentale di una bambina a seguito di un rapporto sessuale è una multa. 

Anche volendo relegare il fenomeno delle spose bambine ad alcune regioni distanti del mondo, è chiaro che la religione, in particolare l’Islam e la Sharia, ha un impatto significativo su questa pratica. Non possiamo ignorare il fatto che il Corano, le norme religiose e i testi giuridici islamici regolamentino o giustifichino le spose bambine, spesso a scapito dei diritti e del benessere delle giovani ragazze.

Sostenere una riflessione critica sulla relazione tra religione, cultura e diritti umani è essenziale per affrontare questa questione in modo efficace. Dobbiamo promuovere con decisione una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione su questo problema, senza aver paura di rompere il tabù che spesso aleggia attorno alla spiritualità per svelarne gli aspetti più problematici, al fine di creare un mondo in cui tutte le ragazze possano godere dei loro diritti fondamentali e passare da oggetti, appendici non senzienti, a soggetti di diritto, soprattutto quello di vivere vite libere da sfruttamento e violenza.

One thought on ““Non è religione. È cultura!” Islam e matrimoni con minori.”

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