Senza nemmeno usufruire della Legge 194.


Innumerevoli sono gli esempi di sofferenze a disposizione degli atei per argomentare contro l’esistenza del Dio abramitico, che dovrebbe essere onnisciente, onnipotente e buono e dunque dovrebbe amare e proteggere le proprie creature. Fra i molti, Mattia, nella community de L’Eterno Assente, attira la mia attenzione e condivide con me alcune riflessioni su un caso poco considerato: gli aborti spontanei.

È un caso problematico soprattutto per i cattolici. Infatti sono proprio loro a sostenere la sacralità della vita umana fin dal concepimento: in un ovulo fecondato da uno spermatozoo c’è già un’anima immortale. Da cui la strenua opposizione non solo all’aborto ma anche alla contraccezione di emergenza. E sia: diamogliela buona e partiamo da qui.

Le stime ci dicono che fra il 10 e il 20 per cento delle donne consapevoli della gravidanza va incontro a un aborto spontaneo. Nel complesso i concepimenti falliti sono molti di più: fra il 30 e il 50 per cento. Hai letto bene: fino alla metà dei feti concepiti viene espulsa senza vedere la luce. Una bella strage, no?

Una strage della quale non è colpevole nessuno. Nessuno umano, quanto meno. Non i ginecologi sicari (Papa Francesco dixit). Non le madri omicide (sempre Papa Francesco dixit). La morte di milioni di esseri umani, ciascuno con la propria anima, – perché questo sono, per i cattolici – non è frutto del libero arbitrio. Non c’è una colpa. Superfluo precisare che non c’è una colpa neanche da parte dei feti stessi: quali peccati potrebbero mai aver commesso? Perciò quell’aborto lo ha provocato o per lo meno lo ha consentito Dio. Peraltro senza nemmeno usufruire della Legge 194.

Sicché Dio – onnisciente, onnipotente e buono, non dimentichiamolo – crea una vita umana e le fa dono di un’anima eterna, ma poi nel giro di poche settimane sopprime quella vita e manda l’anima… già, dove manda l’anima?

Nel limbo no, perché – a quanto pare – molto probabilmente non esiste. All’inferno o in purgatorio neppure: quanto stronzo dovrebbe essere Dio per imporre una sofferenza a chi non ha commesso alcun peccato? Immaginare che il feto debba scontare la colpa di quei due disgraziati nell’Eden è altrettanto abominevole. Di fatto, tutta la storia del peccato originale ereditato dalla discendenza è una stronzata sesquipedale. Resta il paradiso: l’anima del feto abortito gode subito della beatitudine eterna. Ma allora Dio non poteva creare quell’anima lì, nel paradiso, fin dal principio? Per quale motivo darle una vita di due o tre o cinque mesi nel grembo materno, per poi annientarla? È una prova? Ma una prova per chi? Per il feto? Non ha senso. Per la madre? Quindi il feto diventa solo uno strumento, un mezzo: Dio agisce così? E ancora: io devo confrontarmi con la possibilità di peccare, devo combattere contro la tentazione, devo guadagnarmi il paradiso esercitando in modo virtuoso il mio libero arbitrio, mentre l’anima di quel feto va in cielo gratis, senza nemmeno uno sforzo piccino picciò. Perché lei sì e io no?

Non se ne viene fuori, se non con una conclusione: non esistono né il limbo, né l’inferno, né il purgatorio, né il paradiso, né l’anima. Soprattutto non esiste quel Dio lì.

Choam Goldberg

Un piccolo esempio: da qualche secolo la teologia morale cattolica è convinta che il momento dell’unione delle cellule germinali maschili e femminili sia anche il momento in cui nasce un individuo umano. Il teologo morale di oggi avrà ancora il coraggio di mantenere questo presupposto, come base di molte delle sue affermazioni teologiche morali, quando gli si viene a dire di punto in bianco che il 50% degli ovuli fecondati non riesce mai ad annidarsi nella mucosa uterina e quindi vanno persi? Sarà in grado di accettare che il 50% di tutti gli uomini, autentici uomini con anime immortali e un destino eterno, non andranno mai oltre questo primo stadio dell’esistenza umana?
– Karl Rahner, La manipolazione genetica, in Nuovi Saggi


Avvertenza:
La lingua di questo articolo cerca di conciliare l’inclusività con la leggibilità e la scorrevolezza. Nessuno si offenda quindi se evita le ripetizioni e usa il plurale sovraesteso. Ché mi spiace, ma la schwa anche no.

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