Se la morale ci viene da dio, perché ognuno ne ha una diversa?
Se seguiamo la logica dell’argomento morale per l’esistenza di dio, ma evitiamo dogmaticamente di illuderci che siano tutti d’accordo sulla morale, la conclusione è una sola: che l’autore della morale divina non può esistere.

La serie:

Le prove dell’inesistenza di dio

Costruiamo un uomo di ferro

Come detto nello scorso articolo, una delle manfrine preferite dell’apologetica è l’argomento morale per Dio. La cosa funziona più o meno così:

  • se dio non esiste non è possibile avere una morale oggettiva (cosa che lo scorso articolo confuta completamente)
  • una morale oggettiva esiste
  • quindi dio esiste

L’argomentazione qui è nella forma “non P implica non Q, ma non non Q quindi non non P quindi P”, in altre parole è un caso di modus tollens con un paio di doppie negazioni di troppo. Direte voi, “ma Faber, le doppie negazioni le stai aggiungendo te”. E io rispondo, sì, perché io sono pignolo e la logica la faccio per bene, se non le aggiungessi sarebbe semplicemente un ragionamento erroneo.
Quindi gli apologeti possono ringraziarmi per questo piacere che gli faccio ad aggiustargli un’argomentazione fatta col culo in modo da potermi divertire di più a tirargliela giù invece di fermarmi al loro errore basilare. Questo è l’opposto dell’uomo di paglia: mi costruisco un interlocutore migliore perché non mi accontento di quello che ho davanti.

La forma per evitare le doppie negazioni sarebbe invece:

  • se dio esiste, esiste una morale oggettiva
  • una morale oggettiva esiste
  • quindi dio esiste

Peccato però che questo è un errore fatto e finito, si chiama affermazione del consequente, è dato dal fatto che non solo dio, ma anche altro può causare l’esistenza di una morale oggettiva. Cosa che è precisamente il caso per inciso: delle varie teorie morali che propongono una morale oggettiva, quella giusnaturalista teologica è solo una.

Mettono quella torturata forma in doppie negazioni solo perché se no il trucco diventa evidente.

Ecco, a questo punto arriviamo al nodo centrale della dimostrazione di oggi. Se prendiamo per bene la premessa che l’esistenza di un dio implichi l’esistenza di una morale oggettiva di sua produzione, possiamo dimostrarne l’inesistenza andando a dimostrare che non esiste questa sua morale. E faremo questo mostrando come non solo non ci sia una morale universale per tutti gli umani, ma nemmeno una condivisa all’interno della stessa religione dell’apologeta di turno.

Prendiamo quindi per buona la loro idea che l’esistenza di dio comporti l’esistenza di una morale oggettiva e gli diamo addirittura l’assunzione che dio esiste e vediamo che succede.
Ma siamo specifici, non una morale qualsiasi, la SUA morale oggettiva, perché dopo tutto è esattamente questo che insistono a dire i credenti.

Succede che allora senza fallacie si applica un buon modus ponens e ci si trova con quello che potremmo chiamare un “argomento divino per la morale”:

  • se dio esiste, esiste la sua morale oggettiva
  • dio esiste
  • quindi la sua morale oggettiva esiste

Ci troviamo così davanti a una nuova prova potenziale per l’inesistenza di dio: se infatti riusciamo a confutare la conclusione di questo ragionamento, ne deriva la falsità delle sue premesse. E dato che la prima premessa non è nient’altro che la trasposizione della definizione di dio come “l’autore della morale”, ne seguirebbe che non si potrà che considerare falsificata l’altra premessa, ovvero la sua esistenza.

Insomma, possiamo usare questo “argomento divino per la morale” in una riduzione all’assurdo (reductio ad absurdum).

Nota: non che non esista una qualsiasi morale oggettiva, ma solo specificamente una made-in-heaven, prodotto divino D.O.C. e recapitato all’umanità tutta o per divina rivelazione o per iscrizione nel cuore umano o altro mezzo. L’esistenza di morali oggettive non divine, come ad esempio l’utilitarismo consequenzialista umanista, non renderebbe piú esistente una morale divina.

Chist’ song’ comm’ a’ nguill’

Ma già me li vedo, gli apologeti, a svicolare senza vergogna dopo letteralmente millenni di insistenza sull’unicità della morale divina. Li vedo a fingere di aver sempre inteso che in realtà dio sarebbe fonte di mille morali diverse. Quindi andiamo preventivamente a chiudere questa scappatoia.

In primis, sia chiaro che per dogma cattolico dio è immutabile. Era dogma già nel 13o secolo, dove il IV concilio lateranense ha stabilito “Crediamo fermamente e confessiamo apertamente che uno solo è il vero dio, eterno e immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile, padre e figlio e spirito santo” e viene anche ribadito nel concilio vaticano I.

Tuttavia chi non crede ai dogmi cattolici può comunque arrivarci da sé partendo dall’idea che dio sia perfetto. La perfezione, in questa concezione è unica, non molteplice. Per definizione la perfezione è la completa aderenza a un qualche tipo di standard senza difformità o difetto alcuno. Se lo standard non esiste o non è unico non si può parlare di perfezione. Ma se la perfezione è unica è anche immutabile perché altrimenti si avrebbero due versioni dello stesso dio entrambe perfette, risultando in due perfezioni. Quindi possiamo dire che “se un X é perfetto, X é anche immutabile.”
Formalmente, quindi

P1. P(d) (Perfezione di dio; ipotesi che dio é perfetto)
P2. ∀x(P(x)→I(x)) (Per ogni x, Perfezione di x implica Immutabilitá di x; ipotesi di implicazione tra l’essere perfetti e l’essere immutabili)
L1. P(d)→I(d) (instanziazione del quant. univ. da p1; avendo detto che per ogni soggetto l’esser perfetti implica l’immutabilità, questo vale anche per dio)

C1. I(d); (modus ponens da P1 e L1; si conclude che dio è immutabile)

Va da se che un dio immutabile non può produrre oggi una morale e domani un’altra, si avrebbe una mutazione in dio in quel caso.

Questo vincola essenzialmente a una forma di giusnaturalismo: la immutabile natura divina diventa vincolante all’unica e sola morale divina.

Questo significa in altre parole che il numero massimo di morali divine esistenti é 1. La seconda causerebbe una contraddizione e ci ritroveremmo di nuovo ad avere una prova dell’inesistenza del dio autore della morale che ci propongono i credenti.

Non solo, se le due morali sono… distinte… significa che una permette qualcosa che l’altra vieta. Quindi che una condanna come immorale qualcosa che l’altra considera morale. E questo comporterebbe che il dio che ha prodotto queste due morali distinte ha prodotto qualcosa di immorale, risultando quindi immorale egli stesso sotto la sua stessa morale. Se c’è un credente disposto a dir questo, mi faccia un fischio, uno spettacolo del genere merita una live.

Se dio non ce la dà… la morale

Stabilito che c’è al massimo una sola morale divina, all’umano cosa arriva? Per poter confutare l’esistenza di dio dobbiamo confutare la conclusione del nostro “argomento divino per la morale”, quindi dimostrare che non esiste la sua morale oggettiva nell’umanitá. Significa cioé stabilire che non esista un gruppo umano che nel tempo e nello spazio si stia beando di questa “morale divina” unica e immutabile.

Qui la questione dipende da cosa una persona creda in termini di religione, ovviamente. Ma un elemento comune delle religioni è che tra umano e divino ci sia una relazione, nella quale il divino comunica la sua volontà all’umano.

E in particolare nelle tradizioni religiose si sostiene puntualmente che la morale divina tramandata ai correnti adepti sia… divina, appunto.
Se volete negare che all’uomo questa morale sia arrivata, bon, grazie di aver concesso il punto, la dimostrazione per voi finisce qui: se non ci è arrivata, non c’è argomento morale in primo luogo; non solo, avete anche negato l’esistenza di una rivelazione divina, state quindi abbandonando i monoteismi e quasi ogni religione modernamente praticata. Per voi il “dio che dà origine alla morale oggettiva degli umani” insomma non esiste… ed è precisamente il dio che l’argomento morale avrebbe dovuto dimostrare e che questa dimostrazione confuta.

Non solo, se siete cattolici state direttamente negando il magistero cattolico il quale dice esplicitamente in “dignitatis humanae”, concilio vaticano secondo, “norma suprema della vita umana è la stessa legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale dio con un disegno di sapienza e amore ordina, dirige e governa il mondo intero e le vie della comunità umana. E dio rende l’uomo partecipe di questa sua legge”.
Sempre per i cattolici addirittura le “leggi che regolano la vita sociale” sarebbero nientepopodimeno che “scritte dal creatore nella natura spirituale e morale dell’uomo” (sempre concilio vaticano secondo, “gaudium et spes”). Quindi detta morale dovrebbe essere accessibile tramite una forma di “rivelazione” così diretta da essere connaturata all’essere umano. Ogni umano, senza eccezioni a base biologica come chi è affetto da psicopatia o sociopatia in senso clinico.

Va anche notato che se la morale divina è del tutto inaccessibile agli umani, mancherebbe quindi la conoscenza del bene e del male e con essa la facoltà di effettuare una scelta morale. Chi volesse attaccarsi a questa scusa, tra gli apologeti, oltre a negare il mito fondativo della loro teologia, negherebbe anche ogni base per cui attribuiscono all’umanità una colpa. Non sarebbe infatti colpa dell’uomo il disattendere una morale che non gli è mai stata accessibile.

Morale eterna? Eternamente instabile.

Escludendo le religioni nate l’altro ieri, abbiamo a disposizione una storia delle loro posizioni morali. E possiamo constatare come queste non siano immutabili. Il mio caso preferito è lo schiavismo: i grandi monoteismi sono tutti e tre nati schiavisti da far schifo e si presentano oggi come abolizionisti. Beh, almeno alcuni, ci sono anche appartenenti a quei monoteismi che all’idea della dignità umana ci devono ancora arrivare.

Se avete qualche dubbio che il cristianesimo e l’ebraismo fossero schiavisti fino al midollo, potete guardarvi questa serie che ho fatto sull’argomento:

Sia antico che nuovo testamento, sia primi cristiani che chiese varie, sia santi che prelati, sono schiavisti fracidi. Contro la schiavitù mai una parola, a favore della schiavitù tante parole e tanti ordini diretti di partecipare a quell’ingiustizia. Partecipare come padroni, partecipare come schiavi. E perfino oggi le uniche argomentazioni che vengono fatte nel pubblico discorso a favore della schiavitù sono quelle degli apologeti che cercano di salvare la (in)dignità morale di un testo sacro.

E non è solo questione di un argomento o un altro, su ogni questione non c’è accordo tra i credenti che superi tempo e spazio, nemmeno quando suddetti credenti si riconoscono a vicenda come appartenenti alla stessa religione. In quel gran gioco all’equivoco che è la religione stessa, sono convinti di essere uniti da idee che se discutessero li dividerebbero.

Prendiamo come esempi tre soggetti, tutti e tre cattolici, a detta dei cattolici. Pietro (come descritto dal nuovo testamento), Bernardo di Chiaravalle e papa Bergoglio.
Sono persone di 3 millenni diversi. Ovviamente hanno una morale diversa l’uno dall’altro in tutto, per noi secolaristi, ma per i cattolici no. Per chi crede che la morale divina sia stata rivelata, queste figure la rivelazione l’hanno ricevuta e la condividono. I loro insegnamenti riflettono l’idea di morale del cattolicesimo (del loro tempo).

Quali sarebbero i punti in comune della divina e immutabile morale?

No, non su slogan o genericamente l’obbedienza al mandato divino, non sulla teologia, la natura di dio. Stiamo parlando di morale, quindi specificamente su come comportarsi qui sulla terra, tra umani. E nemmeno prendendoli a due a due, servirebbe un punto d’accordo per tutti e tre.

Sulla schiavitù probabilmente Pietro e Bernardo andrebbero d’accordo a sostenerla, ma è da Leone XIII nel 1888 che la chiesa ha cambiato idea e condannato la schiavitù (sì, dopo tutto il resto del mondo essenzialmente).
Per quanto riguarda la violenza, magari Pietro e Bergoglio avrebbero un accordo a dire “guerra brutto”, invece Chiaravalle no, lui con la bava alla bocca dice che il cavaliere di cristo uccide gioioso.
Sullo stuprare bambini? Bergoglio tratta la cosa come un vizietto da niente, un qualcosa per cui il prete stupratore va aiutato e protetto, Pietro abbiamo motivo di credere che legherebbe lo stupratore per il collo a una macina per poi buttarla a mare.
Economicamente? Molti dei primi cristiani praticavano una forma di comunismo, e ne troviamo traccia in Atti 5, con la storia di Anania e Saffira. Diglielo a Bergoglio e avrà un infarto, lui che cooperava con la dittatura di Videla.
L’omosessualità oggi sembra mettere d’accordo parecchi (a fare gli omofobi, d’accordo sulla risposta sbagliata insomma), ma ai tempi di Pietro era cosa normalissima e lui non la nomina neanche, anzi, stando alla normativa israelita veterotestamentaria quella tra donne non era neanche considerata peccato. Bergoglio invece la considera il male più grave del mondo (con un genocidio in corso, priorità strane).
“Ama il prossimo tuo come te stesso”, proverà un apologeta, “quello devono difenderlo tutti i cristiani!”. Ancora, dobbiamo andare oltre lo slogan. L’amore del Chiaravalle è quel tipo di amore per cui ammazzi la persona amata.

Odio, si chiama odio.

E pure quello di Bergoglio, che in risposta al massacro di Charlie Hebdo ha dato ragione ai terroristi.

Tirando le somme

Avendo quindi dimostrato l’inesistenza anche nel cattolicesimo di una morale condivisa, divina, immutabile, dovremmo ora passare alle altre forme di religione, ma per questo mi limiterò a ricordare che se qualcuno provasse oggi a seguire alla perfezione la morale biblica (o coranica), sarebbe solo questione di tempo prima che venga arrestato dai suoi stessi correligionari.

Siamo quindi pronti a formalizzare l’argomentazione:

P3. ∃x∃y(U(x)∧R(y)∧P(x,y)) (esistono un x e un y tali che x è umano e y è rivelato e x persegue y; ipotesi di esistenza di un x che è umano U(x), e di una morale y rivelata R(y), tali che quel gruppo persegue quella morale P(x,y) in altre parole l’ipotesi che una morale divina ci sia)
P4. ∀x(R(x)→I(x)) (per ogni x, l’essere rivelato di x implica l’essere immutabile di y; ipotesi di immutabilità I(x) della rivelazione R(x), in altre parole diciamo che se qualcosa è rivelato deve essere per caratteristica della rivelazione anche immutabile)
L2.1 U(a)∧R(b)∧P(a,b) (istanziazione del quant. esistenz. da p3; avendo detto che esistono almeno un gruppo umano e una morale rivelata da essi perseguita chiamiamo a detto gruppo e b detta morale)
L2.2 R(b) (eliminazione della congiunzione da L2.1; in pratica se sappiamo 3 cose possiamo prenderne una da sola)
L2.3 R(b)→I(b) (istanziazione del quant. univ. da p4; se p4 vale per tutto varrà anche per b)
L2.4 I(b) (modus ponens da L2.2 e L2.3; se b é rivelata e essere rivelato di b implica la sua immutabilità, allora b è immutabile)
L2.5 U(a)∧R(b)∧P(a,b)∧I(b) (introduzione congiunzione da l2.1 e l2.4; se abbiamo dimostrato due proposizioni possiamo dire che è vera la loro congiunzione)
L2.6 U(a)∧P(a,b)∧I(b) (eliminazione cong. da l2.5; se sappiamo quattro cose possiamo dire di saperne tre, in particolare mettiamo da parte che b è rivelata, a questo punto arriviamo a dire che il gruppo a di umani persegue una morale b che è immutabile)
P6 ∀x∀y¬(U(x)∧P(x,y)∧I(y)) (Per ogni x e y, non esiste alcun x tale che x è un gruppo umano che persegue la morale y immutabile; ipotesi di inesistenza della morale condivisa e immutabile, argomentata nell’ultimo paragrafo sulla morale eterna)
L4 ¬(U(a)∧P(a,b)∧I(b)) (istanziazione del quant. univ. da p6; quel che vale in p6 per ogni x e y deve valere anche per il gruppo a e la morale b in particolare)
C2 (contraddizione da L2.6 e L4; contraddizione trovata, si è detto in L2.6 quel che L4 nega)

Pedagogie divine e altre fuffe

Davanti a tutto questo cosa potrebbe rispondere un apologeta incapace di accettare i fatti?

Metodologicamente, nulla. Sono stato ben più rigoroso di loro e ho preso come punto di partenza la stessa idea che usano loro per l’argomento morale. Salvo far loro notare la completa incostanza di quella morale oggettiva e immutabile che vorrebbero elevare a prova di dio, le mie premesse sono le loro premesse. Per i cattolici i loro dogmi specificamente.

I punti di disaccordo possibili quindi saranno solo 2:

  • provare a dire che una morale costante in realtà esiste
  • uscirsene con pagliacciate come una pedagogia divina

Una delle mosse più comuni sulla prima opzione è quella di dare addosso al relativismo morale con argomentazioni che in realtà si applicano assai più fortemente alla loro, di morale. Per questo rimando al mio scorso articolo direttamente.

Un’altra obiezione per sostenere l’esistenza di una morale costante è… fare i vaghi. Letteralmente vaghi, nel senso di svuotare completamente di senso le parole e fingere che cose completamente diverse siano intercambiabili. Si finisce così a fingere che un Chiaravalle che predica il malicidio sia d’accordo con un quacchero il quale piuttosto che far violenza si fa ammazzare.
O ancora fingere che esistano dei non meglio specificati principi sui quali sarebbero tutti ma proprio tutti d’accordo perché appunto “scritti nel cuore” direttamente da dio. Questo ignorando non solo che non esiste un singolo principio su cui ogni cultura umana sia stata d’accordo, ma anche la varietà di punti di vista individuali. Il perfetto controesempio a questa idea è l’esistenza di psicopatici, oggi definiti dal Manuale Diagnostico per i disturbi mentali come affetti da “disturbo antisociale di personalità”, ovvero persone che per loro natura sono incapaci di rimorso, vergogna o empatia. Queste persone si ritrovano con una natura che non spinge verso alcun principio morale, dimostrando quindi che nessun dio ne ha “scritti nel cuore” degli uomini.

Riguardo l’idea invece che l’evoluzione morale umana sia in qualche modo frutto dell’azione di un divino docente, ci sono parecchie risposte da dare. Probabilmente dedicherò un futuro articolo o live a questo tema, quindi per oggi mi tengo stretto e evidenzio solo due difetti chiave di questa argomentazione:

  • è sfegatatamente razzista e antisemita
  • è completamente antibiblica ed eretica per la chiesa cattolica e la maggioranza delle altre chiese, oltre che per l’islam

Perché razzista e specificamente antisemita?

Molto spesso per giustificare quanto immonda sia la morale dell’antico testamento si da la colpa al popolo israelita. E lo si fa dicendo che, per poter essere illuminati dalla stessa morale che illuminerebbe i credenti odierni, fossero troppo stupidi, crudeli o quant’altro. Questo loro difetto avrebbe reso impossibile a dio di dar loro la stessa morale data all’apologeta di turno. E per rinforzare questo punto si va proprio all’insulto fatto e finito, spesso con citazioni bibliche come Esodo 32:9 “Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice.” o come Matteo 19:8 “Gesù disse loro: “Fu per la durezza del vostro cuore che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli, ma da principio non era così”.

Ma a parte questa fissazione per le parti corporee dure e il suo suscitare freudiane domande, sia chiaro che questo non è nient’altro che razzismo.
Si sta parlando di un intero popolo come di un popolo limitato, inferiore per sua propria natura, laddove altri popoli non avrebbero questa limitazione. È razzismo. Contro gli Ebrei.

Nel mondo reale invece sappiamo che quello era un popolo come tutti gli altri, capace delle stesse cose degli altri. Qualsiasi insegnante oggi prende un bambino che ha le stesse capacità dei bambini di allora e gli insegna tutto quel che può imparare oggi un bambino. Per quei razzisti antisemiti invece il bambino israelita messo in mano a un insegnante moderno non avrebbe imparato; peggio ancora, sono convinti che nemmeno dio stesso potesse insegnare a quel bambino israelita a comportarsi bene.
Sono livelli di razzismo che sfidano l’umana comprensione, forse è per questo che raramente si capisce che di razzismo fatto e finito si tratta.

Il secondo punto è il conflitto dottrinale, appunto, la sua natura antibiblica e contraria alle tradizioni delle chiese cristiane.

Per i musulmani la questione è presto detta: l’Islam secondo loro sarebbe stato rivelato puro ad Adamo e a ogni profeta fino a Maometto, ma la rivelazione sarebbe stata protetta solo da Maometto in poi. Poco importa quanto sia cambiata anche la morale islamica, loro negano il cambiamento direttamente.

Per l’aspetto biblico, la Bibbia proclama a più non posso l’eternità delle leggi dell’antico testamento.

La proclama per bocca di Gesù in Matteo 5:18-19 “In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.”

La proclama con i proverbi popolari e gli inni, come in Salmo 119:160 “La verità è fondamento della tua parola,
ogni tuo giusto giudizio dura in eterno.”

La proclama per bocca di un Davide posseduto da dio stesso sul suo letto di morte in Samuele 2: 23 “Non è forse così la mia casa davanti a Dio, poiché ha stabilito con me un’alleanza eterna, in tutto regolata e osservata?”

E la proclama anche continuando a leggere da dove citano i razzisti, Matteo 19: 8 prosegue infatti a dire “all’inizio però non fu così”, reiterando quindi che la prima legge (quella dell’Eden) era quella valida e non la seconda (quella mosaica).

Infine nelle tradizioni delle chiese cristiane troviamo di nuovo la chiesa cattolica che abbiamo già citato in “gaudium et spes” e in “dignitatis humanae”, nonché l’insegnamento comune a molte di esse che dio non possa mentire e non possa ordinare il male.

Non potrebbe quindi ispirare un testo sacro a dire che è morale quel che invece è immorale. Non potrebbe dire quindi il nuovo testamento allo schiavo che deve obbedire al padrone per piacere a dio. Non potrebbe l’antico dire che non c’é punizione alcuna al padrone il cui schiavo agonizza tre giorni prima di morire per le percosse, né che gli schiavi vanno comprati dai popoli vicini.

Qual è il punto?

Ritorniamo quindi al nostro “argomento divino per la morale”:

  • se dio esiste, esiste la sua morale oggettiva
  • dio esiste
  • quindi la sua morale oggettiva esiste

Avendo constatato che questa sua morale non esiste, se ne conclude che deve essere falsa almeno una delle due premesse. Dato che una delle due è letteralmente la premessa dell’argomento morale per dio (ovvero la definizione di dio come creatore della sua morale) ad esser falsa deve essere l’altra, l’ipotesi che quel tipo di dio esista. Sì, “quel tipo” di dio, perché restano illesi quei pantheon in cui gli dei non sono fonte di morale, come quello greco-romano.

In altre parole non è vero che se c’è una morale oggettiva deve esserci un dio che la crea, ma al contrario, che non essendoci una morale divinamente creata non può esserci un dio creatore di morali.

E questo in nessuna maniera intacca la validità di una morale oggettiva basata sulla realtà, di un utilitarismo consequenzialista umanista. Nessun dio produce la definizione di bene insita nell’umanesimo consequenzialista. Nessuna religione è necessaria perché l’umano dia valore all’umano. Basare una morale su un fatto della realtà contingente non la rende meno oggettiva e allo stesso tempo non salva il dio fabbrica-morali che questa specifica morale non la produce.

Quindi a dispetto di quel che vorrebbero sostenere da millenni i cristiani, la base di una filosofia etica non è affatto necessario che sia un dio. Gli atei non si trovano minimamente in difficoltà a dare una base alla propria morale.
E anzi questo tentativo di definire dio come base per una morale, data l’assenza di una morale di origine divina, dimostra solo l’inesistenza del loro dio.

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